26 aprile 2009

In tutt'altre faccende affaccendato (io e gli altri)

Il ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione Renato Brunetta



Riemergo brevemente in questa giornata di festa per rassicurare i miei venticinque lettori (magari fossero così numerosi!): l'Anagrafe dal Basso non si è spento.
O divenuto "fantasma", come mi rimprovera una gentile collega commentando la presentazione.

Semplicemente siamo in campagna elettorale (per gli uffici intendo, non per i candidati) e nei comuni piccoli, come il mio, sono sempre le stesse persone che si occupano di anagrafe, stato civile, elettorale, polizia mortuaria, leva militare (per gli uffici intendo - ancora una volta - mica per i diciottenni che manco sanno cos'è la leva: da qualche anno è "sospesa" per i giovanotti, ma gli adempimenti ai comuni sono rimasti).
Il che mi offre il destro di continuare la mia "ricerca" sui fattori che indeboliscono l'azione dell'ufficiale d'anagrafe (qui la puntata precedente).

Fattore oggettivo e pesante come un macigno è infatti la cronica carenza di personale e le molte incombenze che - malgrado quella - nei piccoli comuni fanno capo alla stessa persona, come accennavo sopra.

E mica incombenze da poco. Lo "stato civile", ad esempio, - che si occupa di trascurabili cose come la nascita, il matrimonio, la morte, la cittadinanza e dei diritti della persona ad esse collegati - è materia intricatissima e sempre più difficile in questa società multietnica e globalizzata.
Così spesso si "trascura" proprio l'anagrafe, che a confronto sembra (solamente sembra, come spero di mostrare in questi miei scritti) la questione più semplice.

La carenza di personale è bene spiegata dal fatto che tutti i servizi citati sono svolti sì dai comuni, ma sono in realtà servizi dello Stato.
E pertanto nella lista di priorità dei sindaci sono abbastanza... in basso.
Senz'altro dopo la segreteria, l'ufficio tecnico, i servizi sociali. Per non parlare degli uffici ragioneria e tributi, che sono quelli che procurano i soldi, e per ciò stesso centrali.

Se si aggiunge poi che per sindaci e segretari comunali - figure entrambe che non "frequentano" molto né i nostri uffici né le nostre materie - l'anagrafe non è altro che "fare quattro certificati"(sentita con le mie orecchie!), si comprenderà come l'ufficiale d'anagrafe potrà dedicare a quel servizio ben poco tempo e cura.
E tenderà sempre più ad assumere una funzione "notarile" di mera registrazione e presa d'atto di quel che gli viene dichiarato, senza usare dei mirabolanti poteri che gli sono attribuiti dalla legge, ma che per essere esercitati hanno bisogno di tempo, cura e attenzione.

7 aprile 2009

A latere. Abruzzo cent'anni dopo, il dolore senza lacrime

In queste ore dolorosissime sono andato a ricercare le parole del più grande scrittore abruzzese, Ignazio Silone, sul terremoto del 1915 a cui - quindicenne e già orfano di padre - sopravvisse assieme al fratello, perdendo la madre. Il 13 gennaio 1915 vi furono circa 30.000 morti.


S'è fatta d'improvviso una fitta nebbia. I soffitti si aprivano lasciando cadere il gesso. In mezzo alla nebbia si vedevano ragazzi che, senza dire una parola, si dirigevano verso le finestre. Tutto questo è durato venti secondi, al massimo trenta. Quando la nebbia di gesso si è dissipata, c'era davanti a noi un mondo nuovo. Palazzi che non esistevano più, strade scomparse, la città appiattita. E figure simili a spettri fra le rovine. [...]
Dopo cinque giorni ho ritrovato mia madre. Era distesa presso il camino, senza ferite evidenti. Era morta. Io sono molto sensibile. Tuttavia non ho versato una lacrima.Qualcuno ha creduto che non avessi cuore. Ma quando il dolore supera ogni limite, le lacrime sono stupide...

4 aprile 2009

Dimora, dolce dimora (con digressione sull'innato spirito delle genti italiche)

Vediamo alcuni dei motivi che nella mia riflessione “indeboliscono” l'Uff.A e fanno sì che la sua azione sia meno efficace e (cosa molto più importante) rendono in parte inaffidabile l'anagrafe, vale a dire quel servizio statale che ha come scopo di “fotografare” il rapporto tra persona e territorio, con tutte le implicazioni connesse (statistiche, fiscali, di supporto alle scelte di politiche economiche e sociali, e così via).
Vi sono motivi oggettivi e soggettivi: trattiamo per ora alcuni dei primi.

Una oggettiva difficoltà è l'”oggetto” di cui tratta l'anagrafe, la sua “unità di misura” per così dire: cioè la residenza (simile discorso ma in misura minore si potrebbe fare per la “famiglia”).

L'anagrafe è una poderosa costruzione - che prevede rigorosi (non sempre) passi per iscrizioni, cancellazioni e variazioni - ma che poggia su esili fondamenta, vale a dire la residenza delle persone.

Vale a dire la loro “dimora abituale” (così il Codice civile all'articolo 43).

Vale a dire - come ha affermato la Cassazione – il luogo in cui “l'elemento soggettivo” della dimora (l'altro è quello oggettivo della stabile permanenza) è "rivelato dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali”.

O come traduco io allo sportello: il luogo dove “normalmente si abita” e che si indica con il nome di “casa” in espressioni come: “Stasera resto in casa a guardarmi la tivù” oppure “Mi avete rotto, adesso vado a casa”.


Digressione sull'abilità nelle cose del diritto innata nelle genti italiche:
Mi ha sempre meravigliato il fatto che persone di diversissime estrazioni (talvolta anche dei sindaci...) si presentino ogni tanto allo sportello per spiegare al povero Uff.A. che sono “residenti” da una parte ma “domiciliati” da un'altra o viceversa (la regola aurea è: dove conviene di più).
Mentre l'Uff.A è lì che quotidianamente si confronta e si scontra con i concetti e le definizioni del Codice civile, della legge e del regolamento anagrafico o della Cassazione, arrivano persone - la cui preparazione giuridica si è magari formata guardando “Forum” in TV - che con aria di sufficienza abilmente argomentano, arzigogolano, arringano, magistralmente destreggiandosi tra i concetti di residenza e domicilio (concetto quest'ultimo che per inciso, se si esclude il doloroso particolare caso delle "persone senza fissa dimora", non è di nessun interesse anagrafico!) concludendo invariabilmente a loro favore...



Tornando alla residenza: sembrerebbe semplice, ma così non è.
Succede più di frequente nei grandi comuni, ma sta iniziando anche nei piccoli come il mio: le “consuetudini di vita e le normali relazioni sociali” della Cassazione sono cambiate e spesso sfilacciate, così che non è sempre agevole giudicare ogni caso concreto.
In un mio recente scritto ho chiesto di aiutare gli Uff.A a definirla meglio. Ne riparleremo certamente.

Sottovalutato è inoltre - secondo me - il danno fatto da una apparentemente innocua “Norma e avvertenza” dell'Istat nel 1992. A commento dell'articolo 13 del Regolamento anagrafico l'Istat scrisse:
"Del resto, si deve considerare che il Codice civile, pur stabilendo l’obbligo della coabitazione dei coniugi, non esclude che essi possano risiedere in Comuni diversi. Si precisa, altresì, che le disposizioni di legge in materia anagrafica non prescrivono il consenso di un coniuge per l’iscrizione anagrafica dell’altro in un Comune diverso da quello dove egli risiede; di conseguenza la donna coniugata che, per qualsiasi motivo, abbia una dimora abituale diversa da quella del marito deve essere iscritta nel Comune d’effettiva residenza anche senza il consenso del coniuge (il grassetto è mio).

Penso sia così che una norma nata con tutt'altri scopi (forse l'inciso “per qualsiasi motivo” alludeva pudicamente al fenomeno delle separazioni di fatto?) ha fatto passare l'idea che i coniugi possono avere luoghi di residenza diversi “per qualsiasi motivo”, ovverosia ogniqualvolta sia conveniente (ai fini fiscali, al solito...), come ho trattato in un precedente post.

Continua... (ovviamente)