30 dicembre 2009

Riflessione di fine anno: Zero è la cifra del decennio.

L'ex ministro dell'Interno Giuliano Amato

L'aria di fine anno si fa sentire. Anzi, parliamo pure di fine decennio: finalmente gli "anni Zero" (2000-2009) finiranno tra alcune ore e pochi - ne sono sicuro - li rimpiangeranno.

Gli anni di al Qaeda, George Bush, la guerra al terrore, l'esportazione della democrazia (peraltro sempre più ridotta nelle nostre società).

Il decennio dell'accelerazione del cambiamento climatico, dell'aumento dei migranti ambientali e per fame e povertà, della crisi economica innescata dalla bolla finanziaria, e di tutto quello che volete voi.

Diversamente dall'omologo decennio del precedente secolo ventesimo, questo non verrà certo ricordato come la belle époque; eccoci qui allora - "tutti prigionieri nella giostra circolare del tempo", come dice la poetessa - a illuderci che i prossimi 365 giorni saranno migliori e che gli anni Dieci saranno più favorevoli degli Zero.

Anche per l'anagrafe gli anni Zero saranno da dimenticare: questa è la mia convinzione. Dopo gli anni Novanta (che videro la messa in pratica del nuovo regolamento anagrafico datato 1989), gli anni Zero sono stati gli anni della demolizione delle certezze.

Tanto per dire, prima gli stranieri venivano iscritti in anagrafe solo se avevano ed esibivano un permesso di soggiorno; negli anni Zero una serie di circolari e direttive (cui ha contribuito pesantemente il ministro Amato) hanno moltiplicato le eccezioni alla regola, creando non poche confusioni e diatribe, principalmente a causa dell'incapacità del ministero dell'Interno di affrontare e gestire le richieste di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno.
Voto: zero.

Sempre per dire, prima la supervisione dell'anagrafe la facevano Istat (soprattutto) e Ministero dell'Interno, e un pregevole tentativo di dare direttive coordinate (purtroppo non seguito da aggiornamenti!) furono le Note ed Avvertenze del 1992; negli anni Zero tutto il potere è andato al ministero, i cui burocrati spesso non sono all'altezza: nonostante Internet e la tecnologia, grande è la confusione sotto il cielo, lo si constati direttamente nel "servizio" L'esperto risponde del sito ministeriale.
Voto: zero.

Non solo, negli anni Zero alcuni Sindaci - che sono i titolari della funzione di ufficiale di anagrafe che poi estendono a noi qui in basso poveri ufficiali "delegati" - si sono inventati competenze e ordinanze, tutte assolutamente fuori della legge e dalla Costituzione (si legga l'art. 117 lettera i) nella versione ora vigente, per il futuro aspettiamoci cose come "le riforme istituzionali").

Ciò è avvenuto non già per motivi anagrafici; tipicamente, infatti, l'anagrafe risponde alla domanda "dove sta chi?" e tende ad essere universale, vale a dire che ambisce - ha l'ambizione, intendo - di censire tutte le persone di un territorio indicando precisamente dove esse abitano.
Le varie ordinanze che qui a Nordest si sono diffuse, invece, rispondono più alla domanda "come fare per stabilire chi è fuori e chi è dentro?"; come si vede siamo concettualmente agli antipodi. Senza contare che hanno lasciato (e lasciano tuttora) molti colleghi lacerati tra il rispetto della legge e della loro propria funzione e dignità da una parte, e l'obbedienza dovuta al Capo dell'Amministrazione, il Sindaco, dall'altra.
Voto: zero.

E si potrebbe continuare...

Lasciamoci quindi alle spalle gli anni Zero senza troppi rimpianti e con un solo timore: che anni saranno i prossimi che avranno questo Zero come radici e fondamenta?

P.S. del 31 dicembre:
Sergio Romano sul Corriere di oggi esamina anche lui il decennio che sta finendo; il suo pezzo s'intitola "Addio anni zero senza rimpianti" . Ma guarda un po' 'sti editorialisti ...

6 settembre 2009

Ritorno col malumore, se si eccettua una postilla comica alla telenovela della carta d'identità

Il presidente egiziano Hosni Mubarak

Sono tornato.
Dopo un periodo di silenzio (durante il quale - come anticipato - vi sono stati due appuntamenti elettorali con tre elezioni, le ferie, le ferie dei colleghi che da noi qua in basso nei piccoli comuni tocca a te sostituire...) mi ripresento.
L'umore non è dei migliori.
E parlo per me, ovviamente, mica per il Paese (l'Italia, intendo: meglio specificare, di questi tempi).
Paese che si avvia verso un autunno che pochi disfattisti dicono di crisi, di chiusure di fabbriche, di precari sempre più precari anche nella pubblica amministrazione.
Ma che da altre prospettive si prepara roseo: con l'autunno torneranno veline e aspiranti tali, le fiction in tivù, i famosi, i non famosi e i perfetti sconosciuti; insomma tutti i circenses necessari a dimenticare la penuria di panem.

Tornando a me, confesso che non aver ricevuto alcun segno di vita dai colleghi sull'argomento che mi sta particolarmente a cuore - l'etica professionale dell'Uff.A. - mi deprime ulteriormente.

L'unica cosa che mi solleva l'umore è la lettura della circolare ministeriale n. 20 del 21 agosto (a Ferragosto passato...), terza puntata della pasticciata telenovela della proroga a 10 anni della carta d'identità (cdi), argomento affrontato in questo post in cui pregavo invano di non semplificare più nulla.
In realtà nella circolare si parla della cdi elettronica, che da noi qua in basso nei piccoli comuni manco sappiamo come è fatta (veramente una volta ne ho vista una di un signore residente a Milano...).
Ebbene, alcuni Paesi (Egitto in primis, ma anche Turchia, Tunisia, Croazia, Romania e Svizzera) pare non riconoscano la validità del foglio di carta fatto dai Comuni per prorogare le cdi elettroniche, grandi come una tessera bancomat, che hanno stampate la loro bella scadenza quinquennale.
Sembra che esistano anche Paesi così, al mondo: appena un po' più seri del nostro.

La dottoressa Anna Di Stefano, che firma la circolare per conto del Direttore Centrale dottoressa Porzio (che io immagino in ferie quel giorno, spero non nel Mar Rosso...), avverte il 21 agosto che l'Egitto ha formalmente informato per via diplomatica che riconosce solo quel che c'è scritto sulla tessera elettronica e il foglio di carta che l'accompagna non lo guarda nemmeno.

La dottoressa conclude la circolare con una frase delicata, che merita di riportare per intero notando la tenerezza dei verbi scelti (pregare, aver cura, suggerire) quasi a scusarsi di disturbare i cittadini a Ferragosto passato:
"Si pregano [i prefetti] di voler informare i Sindaci che avranno cura, a loro volta, di suggerire ai cittadini che intendessero recarsi in viaggio nei Paesi sopraindicati, di munirsi di altro idoneo documento di viaggio".

Arrangiatevi, capisco io.
Fine. Per ora.

10 maggio 2009

La battaglia è persa, aboliamo l'anagrafe!

Il ministro dell'Interno on. Roberto Maroni.

Questa è un po' forte anche per me: mi è arrivata - all'indirizzo anagrafedalbasso.mail@gmail.com - la proposta dell'abolizione dell'anagrafe, nientemeno!
Ho pensato un po' prima di dare alla luce riflessioni così "estreme", ma poi la provocazione (che tale considero) mi è parsa molto bella e mi sapeva male che dovesse rimanere sconosciuta. Lascio pertanto ai miei venticinque lettori l'esame del manoscritto dell'anonimo collega.

Basta, bisogna ammetterea noi stessi per primi che la battaglia è persa, hanno vinto loro e l'anagrafe non è più (ammesso che lo sia stata) la fotografia della realtà ma una grande “baracca” con adempimenti, carte che girano su è giù per l'Italia, accertamenti che non accertano più niente.
Quindi bisogna essere conseguenti e chiedere o noi ufficiali d'anagrafe o l'Anusca l'abolizione dell'anagrafe e naturalmente di tutte quelle normative basate sull'anagrafe, sulla residenza e sulla famiglia che vengono continuamente aggirate.
Basta agevolazioni prima casa con l'obbligo di portare la residenza entro 18 mesi, basta assegni familiari sulla base dello stato famiglia, basta agevolazioni sul reddito familiare dimostrato dallo stato famiglia,basta ricongiungimenti familiari per stranieri basati sul rapporto metri quadri – residenti (sulla carta).

Al posto di tutte le pratiche che richiedono il “certificato anagrafico” ci sarà una tra le tre seguenti soluzioni, da usare dove è più opportuno:
- o automatismi (per es. agevolazioni prima casa per la sola prima casa che ti intesti e basta, assegni familiari per il solo fatto di essere genitore o coniuge)
- o controlli "ad hoc" per chi richiede certe prestazioni (per es. chi chiede il ricongiungimento subirà la visita dell'assistente sociale, del geometra comunale, dei vigili,tutti uffici che relazioneranno sulla situazione di fatto che trovano e daranno il parere)
- oppure l'abolizione pura e semplice di norme obsolete, come per es. per le tariffe residenti di acqua luce e gas.

Si libereranno così risorse umane e finanziarie ora dedicate alla grande complicata “baracca” dell'anagrafe e si semplificherà la vita a cittadini e uffici, che si concentreranno a verificare la situazione di fatto (non sulla carta come adesso) dei soli richiedenti particolari prestazioni. Dopotutto vi sono stati civili come l'inghilterra e gli Stati Uniti, che senza anagrafe sopravvivono benissimo.

1 maggio 2009

Un regalo per il Primo Maggio

Mi faccio un regalo per il Primo Maggio: un articolo di una rivista vera - di carta intendo - dove si parla di questo blog: è il Salvagente (settimanale dei diritti, dei consumi e delle scelte) n. 16 del 16 aprile scorso.

Nell'articolo "Carta decennale ma non per volare" di Laura Bruzzaniti vi sono più citazioni di questo blog - pur senza nominarlo - inclusa la conclusione del pezzo: "Per favore non semplificate più nulla". Si parla ovviamente della carta di identità e della sua proroga di validità, argomento affrontato in questo post del 7 febbraio scorso.

E così la mia autostima di fannullone pubblico si risolleva un po' dal basso (è proprio il caso di dirlo) dove è da anni precipitata.

Ringrazio Laura per la gentile concessione a riprodurre il suo brioso articolo. E buon Primo Maggio a tutti.

26 aprile 2009

In tutt'altre faccende affaccendato (io e gli altri)

Il ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione Renato Brunetta



Riemergo brevemente in questa giornata di festa per rassicurare i miei venticinque lettori (magari fossero così numerosi!): l'Anagrafe dal Basso non si è spento.
O divenuto "fantasma", come mi rimprovera una gentile collega commentando la presentazione.

Semplicemente siamo in campagna elettorale (per gli uffici intendo, non per i candidati) e nei comuni piccoli, come il mio, sono sempre le stesse persone che si occupano di anagrafe, stato civile, elettorale, polizia mortuaria, leva militare (per gli uffici intendo - ancora una volta - mica per i diciottenni che manco sanno cos'è la leva: da qualche anno è "sospesa" per i giovanotti, ma gli adempimenti ai comuni sono rimasti).
Il che mi offre il destro di continuare la mia "ricerca" sui fattori che indeboliscono l'azione dell'ufficiale d'anagrafe (qui la puntata precedente).

Fattore oggettivo e pesante come un macigno è infatti la cronica carenza di personale e le molte incombenze che - malgrado quella - nei piccoli comuni fanno capo alla stessa persona, come accennavo sopra.

E mica incombenze da poco. Lo "stato civile", ad esempio, - che si occupa di trascurabili cose come la nascita, il matrimonio, la morte, la cittadinanza e dei diritti della persona ad esse collegati - è materia intricatissima e sempre più difficile in questa società multietnica e globalizzata.
Così spesso si "trascura" proprio l'anagrafe, che a confronto sembra (solamente sembra, come spero di mostrare in questi miei scritti) la questione più semplice.

La carenza di personale è bene spiegata dal fatto che tutti i servizi citati sono svolti sì dai comuni, ma sono in realtà servizi dello Stato.
E pertanto nella lista di priorità dei sindaci sono abbastanza... in basso.
Senz'altro dopo la segreteria, l'ufficio tecnico, i servizi sociali. Per non parlare degli uffici ragioneria e tributi, che sono quelli che procurano i soldi, e per ciò stesso centrali.

Se si aggiunge poi che per sindaci e segretari comunali - figure entrambe che non "frequentano" molto né i nostri uffici né le nostre materie - l'anagrafe non è altro che "fare quattro certificati"(sentita con le mie orecchie!), si comprenderà come l'ufficiale d'anagrafe potrà dedicare a quel servizio ben poco tempo e cura.
E tenderà sempre più ad assumere una funzione "notarile" di mera registrazione e presa d'atto di quel che gli viene dichiarato, senza usare dei mirabolanti poteri che gli sono attribuiti dalla legge, ma che per essere esercitati hanno bisogno di tempo, cura e attenzione.

7 aprile 2009

A latere. Abruzzo cent'anni dopo, il dolore senza lacrime

In queste ore dolorosissime sono andato a ricercare le parole del più grande scrittore abruzzese, Ignazio Silone, sul terremoto del 1915 a cui - quindicenne e già orfano di padre - sopravvisse assieme al fratello, perdendo la madre. Il 13 gennaio 1915 vi furono circa 30.000 morti.


S'è fatta d'improvviso una fitta nebbia. I soffitti si aprivano lasciando cadere il gesso. In mezzo alla nebbia si vedevano ragazzi che, senza dire una parola, si dirigevano verso le finestre. Tutto questo è durato venti secondi, al massimo trenta. Quando la nebbia di gesso si è dissipata, c'era davanti a noi un mondo nuovo. Palazzi che non esistevano più, strade scomparse, la città appiattita. E figure simili a spettri fra le rovine. [...]
Dopo cinque giorni ho ritrovato mia madre. Era distesa presso il camino, senza ferite evidenti. Era morta. Io sono molto sensibile. Tuttavia non ho versato una lacrima.Qualcuno ha creduto che non avessi cuore. Ma quando il dolore supera ogni limite, le lacrime sono stupide...

4 aprile 2009

Dimora, dolce dimora (con digressione sull'innato spirito delle genti italiche)

Vediamo alcuni dei motivi che nella mia riflessione “indeboliscono” l'Uff.A e fanno sì che la sua azione sia meno efficace e (cosa molto più importante) rendono in parte inaffidabile l'anagrafe, vale a dire quel servizio statale che ha come scopo di “fotografare” il rapporto tra persona e territorio, con tutte le implicazioni connesse (statistiche, fiscali, di supporto alle scelte di politiche economiche e sociali, e così via).
Vi sono motivi oggettivi e soggettivi: trattiamo per ora alcuni dei primi.

Una oggettiva difficoltà è l'”oggetto” di cui tratta l'anagrafe, la sua “unità di misura” per così dire: cioè la residenza (simile discorso ma in misura minore si potrebbe fare per la “famiglia”).

L'anagrafe è una poderosa costruzione - che prevede rigorosi (non sempre) passi per iscrizioni, cancellazioni e variazioni - ma che poggia su esili fondamenta, vale a dire la residenza delle persone.

Vale a dire la loro “dimora abituale” (così il Codice civile all'articolo 43).

Vale a dire - come ha affermato la Cassazione – il luogo in cui “l'elemento soggettivo” della dimora (l'altro è quello oggettivo della stabile permanenza) è "rivelato dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali”.

O come traduco io allo sportello: il luogo dove “normalmente si abita” e che si indica con il nome di “casa” in espressioni come: “Stasera resto in casa a guardarmi la tivù” oppure “Mi avete rotto, adesso vado a casa”.


Digressione sull'abilità nelle cose del diritto innata nelle genti italiche:
Mi ha sempre meravigliato il fatto che persone di diversissime estrazioni (talvolta anche dei sindaci...) si presentino ogni tanto allo sportello per spiegare al povero Uff.A. che sono “residenti” da una parte ma “domiciliati” da un'altra o viceversa (la regola aurea è: dove conviene di più).
Mentre l'Uff.A è lì che quotidianamente si confronta e si scontra con i concetti e le definizioni del Codice civile, della legge e del regolamento anagrafico o della Cassazione, arrivano persone - la cui preparazione giuridica si è magari formata guardando “Forum” in TV - che con aria di sufficienza abilmente argomentano, arzigogolano, arringano, magistralmente destreggiandosi tra i concetti di residenza e domicilio (concetto quest'ultimo che per inciso, se si esclude il doloroso particolare caso delle "persone senza fissa dimora", non è di nessun interesse anagrafico!) concludendo invariabilmente a loro favore...



Tornando alla residenza: sembrerebbe semplice, ma così non è.
Succede più di frequente nei grandi comuni, ma sta iniziando anche nei piccoli come il mio: le “consuetudini di vita e le normali relazioni sociali” della Cassazione sono cambiate e spesso sfilacciate, così che non è sempre agevole giudicare ogni caso concreto.
In un mio recente scritto ho chiesto di aiutare gli Uff.A a definirla meglio. Ne riparleremo certamente.

Sottovalutato è inoltre - secondo me - il danno fatto da una apparentemente innocua “Norma e avvertenza” dell'Istat nel 1992. A commento dell'articolo 13 del Regolamento anagrafico l'Istat scrisse:
"Del resto, si deve considerare che il Codice civile, pur stabilendo l’obbligo della coabitazione dei coniugi, non esclude che essi possano risiedere in Comuni diversi. Si precisa, altresì, che le disposizioni di legge in materia anagrafica non prescrivono il consenso di un coniuge per l’iscrizione anagrafica dell’altro in un Comune diverso da quello dove egli risiede; di conseguenza la donna coniugata che, per qualsiasi motivo, abbia una dimora abituale diversa da quella del marito deve essere iscritta nel Comune d’effettiva residenza anche senza il consenso del coniuge (il grassetto è mio).

Penso sia così che una norma nata con tutt'altri scopi (forse l'inciso “per qualsiasi motivo” alludeva pudicamente al fenomeno delle separazioni di fatto?) ha fatto passare l'idea che i coniugi possono avere luoghi di residenza diversi “per qualsiasi motivo”, ovverosia ogniqualvolta sia conveniente (ai fini fiscali, al solito...), come ho trattato in un precedente post.

Continua... (ovviamente)

29 marzo 2009

Anche per noi, così è.

Devo dire subito che - mentre rimuginavo sul tema "Cosa fa sì che l'Uff.A non usi tutti i poteri (i Superpoteri!) che la legge gli affida" che ho introdotto nel precedente post - è calata su di me e su altri 4 milioni e mezzo di spettatori la puntata speciale di Chetempochefa" con Roberto Saviano.

Questo spiega il post a latere su Salvatore Nuvoletta e il suo "eroismo inconsapevole", eroismo che fa il paio con quello di Saviano stesso.

Si fa il proprio dovere - dice Saviano di Salvatore Nuvoletta - "non per eroismo, ma perché così è".
E allora penso a me, ai colleghi Uff.A che conosco, a quelli che non conosco ma di cui leggo i pensieri nei forum su Internet: i crucci e le passioni di alcuni, le disillusioni di altri.

E mi rispondo - prima di ogni altra risposta che pure c'è e che cercherò - che forse anche noi Uff.A dovremmo fare il nostro lavoro con questa sorte di "eroismo inconsapevole".
Anche noi, ai quali per compiere il proprio dovere non è chiesta la vita come a Salvatore o a Saviano.
Perché così è.

28 marzo 2009

A latere. Saviano su Salvatore Nuvoletta: non per eroismo, ma "perché così è"

Roberto Saviano a Chetempochefa su RaiTre, mercoledì 25 marzo sul carabiniere ventenne che rimase "non per eroismo, ma perché così è".
La trascrizione - imperfetta - è mia. Il video della trasmissione è disponibile qui



Don Peppe [Diana] è ritratto insieme a un carabiniere, Salvatore Nuvoletta [...].

E Salvatore fu ucciso, era un carabiniere di Casal di Principe, aveva 20 anni (20 anni!) e fu ucciso perché ci fu un arresto di un nipote di Francesco Schiavone “Sandokan” [...]. Ci fu un conflitto a fuoco, muore [il nipote] “Menelik” e il clan dei casalesi chiede la testa del carabiniere che aveva fatto quello che loro consideravano un agguato [...].
E la responsabilità va su Salvatore, un nome che non avete sicuramente – credo – purtroppo mai sentito.

E Salvatore lo viene a sapere che gli danno la colpa. Lui quel giorno non c'era: il giorno dell'arresto Salvatore era a riposo. Si è da poco arruolato. E Salvatore Nuvoletta sa e glielo dice alla madre, che infatti lo racconta al processo. Dice “Mamma, qua dicono che sono stato io ad avere ucciso “Menelik”, chissà cosa mi succede...”

E qui accade un gesto. Io non so se sarò mai capace di comunicarlo: accade qualcosa che succede spesso dalle mie parti, in moltissime persone: si innesca un eroismo inconsapevole.
Perché la madre gli dice “Salvato', vattene, lascia tutto per un bel po' e vai via”. E Salvatore, da ventenne che non ha alcuna ambizione di arrivare chissà dove, gli risponde “Mamma, ma come? me ne vado? Io sono un carabiniere...”. Cioè: sono un carabiniere, me ne vado? non posso andarmene...

E cosa succede? Mentre stava a Marano, la sua città d'origine [...] ammazzano Salvatore mentre disarmato aveva un bambino sulle ginocchia [...].

Sapete cosa significa non andare via sapendo che sei condannato? E non farlo "per eroismo", ma restare lì perché così è.

21 marzo 2009

Superpoteri e kryptonite

Se uno si guarda la legge anagrafica (la n. 1228 del 1954), vedrà delineata la figura di un "ufficiale di anagrafe" (non so se si percepisce il tutto il "peso" di questa espressione...) con grandi poteri, quasi una specie di "magistrato" che decide sui casi a lui sottoposti.

Infatti l'Uff.A a rigor di legge:

a) ordina gli accertamenti necessari ad appurare la verità dei fatti denunciati dagli interessati, relativi alle loro posizioni anagrafiche (articolo 4)
b) dispone indagini per accertare le contravvenzioni alle disposizioni della presente legge e del regolamento (articolo 4)
c) invita le persone aventi obblighi anagrafici a presentarsi all'ufficio per fornire le notizie ed i chiarimenti necessari alla regolare tenuta dell'anagrafe (articolo 4)
d) può interpellare, allo stesso fine [la "regolare tenuta dell'anagrafe"], gli enti, amministrazioni ed uffici pubblici e privati (articolo 4)
e) venuto a conoscenza di fatti che comportino l'istituzione o la mutazione di posizioni anagrafiche per i quali non siano state rese le prescritte dichiarazioni, deve invitare gli interessati a renderle. In caso di mancata dichiarazione, l'ufficiale d'anagrafe provvede di ufficio (articolo 5)
f) accerta le contravvenzioni alla legge e commina le ammende ai trasgressori (articolo 11).

Urca!
Ma allora come si spiegano tutti i problemi, che fanno sì che l'anagrafe non sia (generalmente) particolarmente accurata nel riprodurre la realtà, come ho ad esempio discusso in questo precedente post?
Qual è la kryptonite che toglie al Superman-Uff.A tutti i suoi poteri, indebolendolo?

Probabilmente il primo nemico del Supereroe-Uff.A è - come nella migliore tradizione dei supereroi - se stesso.
Ne riparliamo presto.

7 marzo 2009

Tengo famiglia, anzi più d'una.

Quante famiglie ci sono in Italia?
a) Quattro o cinque.
b) Alcune decine di milioni.

Entrambe le risposte sono esatte.
Ed entrambe sbagliate, come sa bene ogni Uff.A.

Per la risposta a) si possono contare:
- la famiglia anagrafica;
- il nucleo familiare;
- la famiglia come l'intendeva mia nonna;
- la famiglia "a geometria variabile" (allargata e/o ristretta), ossia come l'intende chi deve fare uno (a volte due) mutuo prima casa, includere o escludere il reddito del nonno, pagare o non pagare l'ICI, le tasse scolastiche, entrare nelle graduatorie per l'asilo nido, eccetera.
Praticamente tutto, in Italia.

Per la risposta b) va detto che quelli sono i dati ufficiali provenienti dall'Istat (http://sitis.istat.it/sitis/html/index.htm, indicatore: Popolazione).
Questi dati mostrano un aumento delle famiglie da 22.226.115 nell'anno 2000 a 24.282.485 nel 2007. Due milioni di famiglie in più in soli sette anni! Un aumento del 9%!
Nello stesso periodo, la popolazione è passata sempre secondo l'Istat da 56.960.692 (31.12.2000) a 59.619.290 (31.12.2007): un aumento di circa 2.700.000 persone.

C'è qualcosa di strano in questi dati.
Come è possibile che aumentino in parallelo, ossia che praticamente quasi tutte le nuove famiglie in sette anni siano composte (mediamente) di una sola persona?
Si sbaglia l'Istat?
Si sbagliano le anagrafi comunali, che all'Istat forniscono i dati?
Mi sbaglio io (cosa sempre possibile)?

Forse c'è una spiegazione, anche tenendo conto che vi è stato un aumento di badanti - badanti che normalmente sono iscritte da sole in una propria famiglia (anche se non mancano autorevoli pareri contrari come quello del dottor Scolaro).

La mia ipotesi è che vi sono forse centinaia di migliaia di "separazioni" di famiglie che sono solo fittizie, dichiarate all'anagrafe per fruire di certe agevolazioni.
Migliaia e migliaia di mariti che "fanno famiglia" da una parte.
Altrettante mogli che la fanno da un'altra.
Gli eventuali figli un po' di qua e un po' di là.
E gli Uff.A. che ci stanno a fare?
Domanda da cento milioni.

Personalmente nella mia breve esperienza quinquennale come Uff.A. ho avuto due (soli) ricorsi al prefetto per residenze negate. Ma entrambi i casi coinvolgevano "separazioni" tra marito e moglie ritenute fittizie "in primo grado" (diciamo così, come se fossimo in tribunale...) e giudicate reali dal prefetto "in appello".

P.S. Sul recente aumento delle separazioni fittizie a seguito dell'abolizione dell'Ici (2008, quindi non considerato nei dati Istat sopra riportati) si veda anche l'interessante articolo su La Stampa del 2 settembre scorso.

18 febbraio 2009

La solitudine dei numeri piccoli (pensieri notturni sconnessi)

Un piccolo contributo, del tutto casuale e non sistematico.





La solitudine di chi nel settore pubblico vuol far bene il proprio lavoro andrebbe indagata meglio.

La solitudine dell'Uff.A che voglia far bene il proprio lavoro può essere grande.
Parlo ovviamente dei piccoli comuni (la maggioranza, in Italia) dove la conoscenza del territorio da parte dell'ufficiale è elevata e i comportamenti "opachi" dei cittadini più facili da conoscere. Dei grandi non so.

Sostanzialmente si tratta della residenza delle persone, ovvero di dove queste abitino normalmente, dato che alla residenza si collegano diritti (quali i servizi pubblici) e doveri (quali le tasse che quei servizi sostengono).
Compito principale dell'Uff.A è accertare e certificare la residenza delle persone. Compito e "croce".

Si presentano i casi più diversi:

vi è chi non vuole figurare all'indirizzo dove abita perché teme l'ufficiale giudiziario e non può o non vuole pagare debiti;

vi è chi non vuole figurare allo stesso indirizzo del coniuge perché entrambi hanno contratto un mutuo prima casa e entrambi non vogliono perdere le agevolazioni per i residenti;

vi è chi vuole figurare a un indirizzo diverso per non pagare l'ICI sulla seconda casa, o le tariffe "non residenti" di Enel e altri servizi;

vi è chi vuol figurare a un indirizzo diverso perché sommando il suo reddito a quello degli altri familiari non rientra più in alcune agevolazioni (sanitarie soprattutto) che lo Stato concede sulla base del reddito(*);

vi è lo straniero che non vuole figurare all'indirizzo dove abita perché la legge prevede un rapporto "superficie abitazione / residenti" che non si può superare.
E via di questo passo.

La coscienza dell'Uff.A lo interpella quasi ogni giorno per quello che egli sa (e molte altre cose egli ignora, fortunatamente per lui).

La solitudine dell'Uff.A nei piccoli comuni che voglia far bene il proprio lavoro può essere grande.


(*) Nota sulle agevolazioni, incentivi o altri servizi concessi sulla base del reddito:
Tutte queste cose sono intrinsecamente inique, poiché le condizioni di partenza (il reddito certo di una persona) non sono determinabili se non per categorie limitate di individui, specialmente in questo Paese.

10 febbraio 2009

A latere. Parole sante: il silenzio su Eluana







"Ho letto che
il Senato ha osservato un minuto di silenzio.
Ecco, bisognerebbe prolungarlo."
Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, al Corriere della Sera di oggi.

7 febbraio 2009

Per favore non semplificatemi più (neanche la carta d'identità)

Nota: post semiserio con postilla serissima

Il ministro per la semplificazione normativa, sen. Roberto Calderoli


Vorrei trattare brevemente la vicenda semicomica dell'estensione della durata della carta d'identità (cdi), passata da 5 a 10 anni grazie all'articolo 31 del decreto legge 112 del 2008, poi convertito nella legge 133, premesso che il rilascio della carta non è affatto un adempimento dell'anagrafe (anche se spesso è quello l'ufficio che se ne occupa).
La vicenda getta una luce sinistra sulla qualità della legislazione e del legislatore, nonché di chi in alto interpreta la legge per noi qui dal basso.

Il decreto 112 è il famosissimo decreto governativo contestato da sindacati e studenti lo scorso anno, per esempio per le nuove norme sulle assenza per malattia o la trasformazione delle università in fondazioni. Ha l'altisonante titolo "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" (ma la cdi che c'entra?) e 85 articoli.
Sotto la voce "Capo VII - Semplificazioni" (ahi, le semplificazioni...) che va dall'articolo 24 al 45, è presente anche l'art. 31 che dice che la carta ora dura 10 anni e e durano 10 anni anche le carte valide alla data di entrata in vigore del decreto (cioè lo stesso giorno 25 giugno 2008).

1) Il primo problema l'ha creato proprio l'immediata entrata in vigore: per qualche giorno c'è stato chi non conoscendo il decreto ha emesso carte con su scritto ancora: validità 5 anni.
Questo poiché il governo ha usato lo strumento del decreto-legge, previsto dall'art. 77 della Costituzione che dice
testualmente così: "Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere [...]".
Qualcuno mi deve spiegare se portare da 5 a 10 anni la cdi possa configurarsi come straordinario caso di necessità e urgenza. Mi deve spiegare perché il governo usa questo strumento, perché i tecnici dei ministeri non vedono il ridicolo della cosa e perché infine il presidente della repubblica convalidi il tutto con la sua firma.

2) Quasi subito su Internet (e peggio per chi non lo frequenta) è apparsa la circolare n. 8 del 26 giugno prevedente per le cdi ancora valide che "il Comune dovrà procedere con la convalida del documento originario per gli ulteriori cinque anni, apponendo la seguente apostilla: “validità prorogata ai sensi dell’art.31 del D.L. 25/6/2008 n.112 fino al … “.
Dall'uso dell'espressione "il Comune dovrà procedere alla convalida" è sembrato ad alcuno che vi fosse necessità della postilla, mentre il decreto dice semplicemente che durano 10 anni anche le carte in corso.
Ed è stato tutto un correre
ai comuni di gente cui era stato detto (da uffici, poste, patronati e altro) di farsi fare il timbretto sennò la carta non era valida... Uffici, poste e patronati che avrebbero ben potuto accettare carte perfettamente valide a rigor di legge.

Postilla al testo:

I puristi hanno notato subito che in italiano si dice postilla, in francese apostille e non si capisce quale delle due lingue parli il prefetto Porzio che firma la circolare. L'autore comunica che in questo scritto si è usata la lingua italiana
.

3) Poi è arrivata la circolare n. 12 del 27 ottobre, che riconoscendo che permanevano dubbi di carattere interpretativo e operativo (sublime!) ha veramente incasinato tutto, in tre pagine e 12 punti, inaugurando tra l'altro la moda dell'andirivieni dei nulla osta alla postilla tra comuni di rilascio e comuni di attuale residenza e conferendo natura certificativa alla postilla, che pertanto va firmata, bollata e datata come un certificato
(ma che certificato è?).
Di una certa sua inarrivabile chiarezza brilla il punto 5 della circolare che dice esattamente così: "E' consentito apporre l'apostilla di proroga presso il comune di dimora sulle carte rilasciate dal medesimo Comune dove il cittadino aveva prima la residenza, previa richiesta di nulla osta del Comune ove al momento risiede". Se avete bisogno di rileggere, fate pure...

Addirittura è arrivato da noi quaggiù in basso un cittadino che - presentatosi in un ufficio che non ricordo con la sua bella postilla che gli avevamo fatto secondo la prima circolare - è stato invitato a venire a farsi fare la firma, il bollo e la data secondo la seconda circolare, che sennò la postilla non era valida. E lui paziente è venuto da noi per due volte...

Vabbe', la pianto qui. Ma attenti lettori troveranno molte cose buffe nelle due circolari e se vorranno, potranno inviare i loro graditi commenti.

Post scriptum (o postilla):
Oggi su tutti i giornali c'è la vicenda dello scontro Berlusconi - Quirinale proprio sulla questione del decreto legge che affronto di striscio sopra al punto 1. Può essere l'occasione per rileggersi la Costituzione.

31 gennaio 2009

A latere. La giubba del re e il servizio di Stato


Per la rubrica "A latere", dopo Obama un pensiero dal libro del magistrato pavese Piercamillo Davigo, passato alla storia come componente del pool Mani Pulite della procura di Milano negli anni '90, tratto dal suo bello e compatto libro "La giubba del re. Intervista sulla corruzione", Saggi tascabili Laterza 1998.


Il fatto che nella nostra pubblica amministrazione, purtroppo, non ci siano molti motivi che possano alimentare il senso e l'orgoglio di appartenenza colpisce in modo davvero negativo.
Io vengo da un piccolo paese ai confini col Piemonte e quando ero ragazzino sentivo i vecchi che avevano un curioso modo di dire.
Nella vita, spiegavano, non bisogna portare livree; ma se qualcuno ha necessità di portarla, l'unica da indossare con orgoglio è la "giubba del re".
Questa espressione non era altro che il concetto sintetico del servizio di Stato.

28 gennaio 2009

Avviso ai naviganti: si cercano contributi etici










Avviso
e richiesta di aiuto e collaborazione:

Sto pensando di affrontare (non so ancora bene come) il tema:
Anagrafe e questione morale
, ovvero: L'etica professionale in anagrafe.

Chiunque abbia suggerimenti, bibliografia, links o semplicemente la sua da dire, può:
a) lasciare un commento a questo post, che sarà subito visibile;
b) scrivere un'email ad anagrafedalbasso.mail@gmail.com, per una conversazione un po' più "privata" a due.
Attendo contributi soprattutto dai colleghi, ma anche - perché no? - dai cittadini.
Probabilmente comincerò ad affrontare il tema nei prossimi giorni, prendendolo da lontano, su aspetti secondari (dato che è un tema gigantesco). Vedremo.

27 gennaio 2009

Firme, autentiche, basi che mancano e addio patria.

Una disavventura che mi è avvenuta, e che ha avuto anche una sua piccola risonanza sulla stampa, mi ha fatto riflettere su quella che viene chiamata l'autentica di firma.
I cittadini sempre più spesso cercano di evitare di andare dal notaio, unico soggetto deputato ad autenticare firme che abbiano carattere di "contratto" tra privati (con alcune eccezioni, tipo il passaggio di proprietà previsto dal decreto Bersani).
Alcuni colleghi, nel lodevole intento di favorire i cittadini, autenticano di tutto e di più.
Nel mezzo - come spesso succede in questo Paese - chi vuole applicare la legge.

Ecco il risultato del mio lavoro: uno schema, dal titolo Quali firme può autenticare il "dipendente incaricato dal Sindaco", che tenta di chiarire il tema a me stesso, prima che ad altri.
Il lavoro deve molto, soprattutto per la seconda parte (le "eccezioni" alla regola generale), a quello fatto dall'Anusca al tempo dell'introduzione del decreto Bersani.
Ogni suggerimento e critica sarà bene accetto, dato che per quel che riguarda il diritto - come mi dicevano a scuola alcuni professori - a me mancano le basi.
Considerazione finale: spesso le basi mancano anche al legislatore, come si vede dalle citazioni nella seconda parte dello schema.
E allora - come diceva mio nonno - addio patria.

25 gennaio 2009

Basta certificati: girino le informazioni, non i cittadini (con due modelli scaricabili)


Parliamo di autocertificazione, ovvero di quella magnifica trovata, escogitata or sono 40 anni fa, per fare avanzare un paese arretrato, fondato (allora, s'intende, allora!) su carta e timbro.

L'autocertificazione è quella scommessa (audace, per un Paese come il nostro) per la quale:
a) il cittadino, che è sempre "presunto innocente", dichiara la verità all'amministrazione pubblica;
b) l'amministrazione pubblica, fiduciosa ed efficiente, accetta e subito controlla la dichiarazione con ciò che risulta in un'altra amministrazione pubblica;
c) se quanto dichiarato non collima con la verità, il cittadino è penalmente sanzionato da una giustizia rapida e giusta;
d) il risultato che si ottiene è che a viaggiare tra uffici sono le informazioni e non più i cittadini.

Essendo questo il Paese che è, ed essendo i cittadini e gli impiegati pubblici quello che sono, ovviamente il limpido quadro delineato sopra non è sempre così limpido; vi sono incrostazioni dure.

I cittadini preferiscono "essere a posto con le carte" e spesso chiedono certificati di loro iniziativa, anche quando non sono richiesti o prima ancora di sapere cos'è effettivamente richiesto. In questo spesso "aiutati" dai vari patronati, sindacati, associazioni di categoria, che - non essendo pubblici dipendenti - sono legittimati a non fidarsi mai di chi sta loro davanti: "Siete in quattro in famiglia? sicuro? fa vedere il certificato!"

Gli impiegati pubblici spesso preferiscono chiedere il certificato al cittadino, dato che il sistema delineato li costringe a controlli. Che significa: trovare l'amministrazione che ha il dato, trovare il numero di fax, fare il fax, aspettare l'arrivo della conferma, eccetera. Molto meglio far girare il cittadino e trovarsi sulla scrivania il certificato bell'e pronto.
Ma anche gli impiegati che dovrebbero certificare - e questo è il caso anche di quelli dell'anagrafe - spesso preferiscono premere il pulsante al computer e certificare, piuttosto che spiegare pazientemente al cittadino diritti e opportunità dell'autocertificazione. Se è uno straniero, poi, tutto si complica, la lingua...

Risultato: si fanno una marea di certificati e si perde una marea di tempo per niente.
(Per alcuni aspetti collaterali relativi all'imposta di bollo, rimando al post Pagare meno, pagare tutti.)

Presento allora qui due modelli di autocertificazione, che sono poi i modelli più richiesti allo sportello, vale a dire l'autocertificazione di residenza e quella di stato di famiglia.
Non sono modelli originali (non ne esistono, la legge non ne parla, vanno bene anche su carta da formaggio), ma sono stati elaborati partendo da altri.
Di buono hanno alcune spiegazioni inserite nel corpo del modello (non tante!) come la specificazione che non è necessario autenticare la firma, e la dichiarazione di consenso affinché il privato destinatario dell'autocertificazione possa controllare presso l'ufficio anagrafe competente. Sì perché anche i privati possono accettare autocertificazioni, anche se non vi sono obbligati come lo sono i dipendenti pubblici.
Nella mia zona ora le accettano anche alcune agenzie di assicurazione auto (che non sono mai esenti dal bollo, checché se ne dica). Invece di chiedere il certificato al cittadino e obbligarlo al pagamento della marca da bollo, accettano l'autocertificazione e richiedono via fax la conferma, avendo avuto il consenso dai loro clienti. Conferma che viene prontamente data, sempre via fax.
E voglio anche far loro pubblicità: sono per ora Generali, Ina Assicurazioni e Reale Mutua.

21 gennaio 2009

A latere. Duro lavoro e onestà, il discorso del presidente Obama


Inauguro una rubrica, dal titolo "A latere", di cose che (apparentemente) forse non c'entrano niente con l'anagrafe.
Il primo posto - obbligato in questa giornata - è una sintesi del discorso di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Solo retorica? Non lo credo.
Il testo integrale italiano è disponibile qui.

Miei concittadini,
mi trovo qui oggi vestito dei panni dell’umilta’ al cospetto del compito che ci attende, grato per la fiducia che mi avete accordato, memore dei sacrifici sopportati da nostri antenati. [...]

Tutti capiscono che siamo nel mezzo di una crisi. La nostra nazione e’ in guerra contro una diffusa rete di violenza e di odio. La nostra economia e’ terribilmente indebolita a causa dell’avidita’ e dell’irresponsabilita’ di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacita’ di compiere scelte difficili e di preparare la nazione ad una nuova era. C’e’ chi ha perso la casa; c’e’ chi ha perso il lavoro; molte aziende hanno chiuso. La nostra assistenza sanitaria e’ troppo costosa; troppi sono i giovani che le nostre scuole non riescono a portare fino al compimento degli studi e ogni giorno che passa appare piu’ chiaro che il modo in cui usiamo l’energia rafforza i nostri nemici e mette in pericolo il pianeta. [...]

Ci troviamo qui oggi perche’ abbiamo scelto la speranza rispetto alla paura, l’unita’ di intenti rispetto ai conflitti e alla discordia.
Oggi intendiamo porre fine alle meschine lagnanze e alla false promesse, alle recriminazioni e alle verita’ troppo abusate che da troppo tempo strangolano la nostra politica.
Rimaniamo una nazione giovane, ma per dirla con le parole della Sacra Scrittura, e’ ora di abbandonare le cose infantili. E’ giunta l’ora di ribadire il nostro spirito indomito, di scegliere la parte migliore della nostra storia, di portare avanti quel dono prezioso, quella nobile idea trasmessa di generazione in generazione, la promessa fattaci da Dio che tutti sono uguali, tutti sono liberi e tutti meritano la possibilita’ di perseguire la propria personale felicita’.
Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, comprendiamo che la grandezza non si puo’ mai dare per scontata. Va guadagnata. Nel nostro viaggio non abbiamo mai preso le scorciatoie e non ci siamo mai accontentati di poco. Non e’ stato il cammino dei pusillanimi – di quanti preferiscono l’ozio al lavoro o cercano solo i piaceri della ricchezza e della fama. Sono stati coloro che amano rischiare, che amano fare le cose – persone celebri, ma spesso uomini e donne qualunque che svolgono un lavoro oscuro - che ci hanno consentito di percorrere il sentiero lungo e accidentato che porta alla prosperita’ e alla liberta’. [...]

Da oggi dobbiamo raccogliere le forze, rimboccarci le maniche e ricominciare l’opera di ricostruzione dell’America.
Dovunque guardiamo c’e’ qualcosa da fare. La situazione dell’economia impone interventi audaci e rapidi e noi interverremo – non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per gettare le basi di un nuovo periodo di crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le linee digitali che alimentano i commerci e ci tengono uniti. Ridaremo alla scienza il posto che merita e sfrutteremo le meraviglie della tecnologia per migliorare la qualita’ dell’assistenza sanitaria e ridurne i costi. Sfrutteremo il sole e i venti e il suolo per alimentare le auto e le fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole, i nostri college e le nostre universita’ affinche’ possano soddisfare i bisogni di una nuova era. Tutto questo possiamo fare. E tutto questo faremo. [...]

Oggi non ci chiediamo se c’e’ troppo Stato o troppo poco Stato, ma ci chiediamo se la macchina dello Stato funziona – se aiuta le famiglie a trovare un lavoro retribuito in maniera dignitosa, a curarsi sopportando costi contenuti, ad avere una pensione dignitosa. Ogni qual volta la risposta e’ affermativa, abbiamo intenzione di continuare sulla stessa strada. Quando invece la risposta e’
negativa e’ nostra intenzione porre fine ai programmi pubblici che non funzionano. E quelli di noi che gestiscono il denaro pubblico debbono rispondere del loro operato – debbono spendere con saggezza, rivedere le cattive abitudini e operare alla luce del giorno – perche’ solo cosi’ facendo possiamo ripristinare il rapporto di fiducia tra il popolo e il governo.
Non ci chiediamo nemmeno se il mercato e’ una forza del bene o del male. La sua capacita’ di generare ricchezza e di allargare i confini della liberta’ e’ impareggiabile, ma questa crisi ci ha ricordato che senza un occhio attento il mercato puo’ sfuggire al nostro controllo – e che una nazione non puo’ prosperare a lungo quando favorisce esclusivamente i ricchi. Il successo della nostra economia e’ sempre dipeso non solo dall’ammontare del nostro PIL, ma dalla diffusione della prosperita’, dalla nostra capacita’ di garantire opportunita’ a tutti gli uomini di buona volonta’ – non per ragioni caritatevoli, ma perche’ e’ la strada piu’ sicura per realizzare il bene comune. [...]

Sappiamo infatti che la nostra composita eredita’ e’ una forza, non una debolezza. Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e indù – e di non credenti. Si mescolano nel nostro Paese lingue e culture di ogni parte della terra e, dal momento che abbiamo assaggiato l’amara brodaglia della guerra civile e della segregazione e siamo emersi da quel buio capitolo della nostra storia piu’ forti e piu’ uniti, non possiamo non credere che i vecchi odii un giorno svaniranno, che i confini della tribu’ presto si dissolveranno, che nella misura in cui il mondo diventera’ sempre piu’ piccolo, si rivelera’ la nostra comune umanita’ e che l’America deve svolgere il suo ruolo nell’aprire la strada ad una nuova era di pace. [...]

Per quanto il governo possa e debba fare, in ultima analisi la nazione poggia sulla fede e la determinazione degli americani. Sono la gentilezza con cui si accoglie in casa un estraneo in un momento difficile e la generosita’ dei lavoratori che accettano una riduzione dell’orario di lavoro per non far perdere il posto ad un amico che ci guidano nei momenti piu’ bui. Sono il coraggio di un pompiere che si precipita su per una rampa di scale piena di fumo, ma anche il desiderio di un genitore di crescere il figlio che alla fine decidono il nostro destino.

Le nostre sfide forse sono nuove. Potrebbero essere nuovi anche gli strumenti per affrontarle. Ma i valori dai quali dipende il successo – duro lavoro e onesta’, coraggio e correttezza, tolleranza e curiosita’, lealta’ e patriottismo – sono cose vecchie. Sono cose vere. Sono stati la forza tranquilla del progresso durante tutta la nostra storia. Chiediamo quindi il ritorno a queste verita’. A noi si chiede una nuova era di responsabilita’ – il riconoscimento, da parte di tutti gli americani, che abbiamo doveri nei confronti di noi stessi, della nostra nazione e del mondo, doveri che non accettiamo mugugnando, ma che accettiamo con gioia, consapevoli che non v’e’ nulla di piu’ soddisfacente per lo spirito, nulla che meglio definisce il nostro carattere dell’impegnarci anima e corpo in un compito difficile.
Questi sono il prezzo e la promessa del nostro essere cittadini.
Questa e’ l’origine della nostra fiducia – sapere che Dio ci chiama a dare forma ad un destino incerto.
Questo e’ il significato della nostra liberta’ e del nostro credo – che uomini, donne e bambini di ogni razza e fede possano celebrare insieme in questo magnifico spazio e che un uomo il cui padre meno di 60 anni fa poteva non essere servito in un ristorante ora e’ dinanzi a voi dopo aver pronunciato un sacro giuramento.
Contrassegniamo questo giorno con il ricordo di chi siamo e di quanto a lungo abbiamo viaggiato. [...]

17 gennaio 2009

Presentazione: chi e (soprattutto) perché?

Breve presentazione: sono un ufficiale di anagrafe (in sigla: Uff.A) di un piccolo comune di provincia del Nordest che tenta ogni tanto di riflettere sul suo lavoro.
Per scaricare la tensione che questo lavoro può provocare, ho cominciato a scrivere.

All'inizio (più di due anni fa) ho scritto un articolo che riguardava una fonte di stress quale è il tema "imposta di bollo". L'ho spedito a tutte le riviste del settore (Lo stato civile italiano, I servizi demografici, Semplice) e - incredibile a dirsi - me l'hanno tutte pubblicato, una (la più antica e signorile) addirittura compensandolo con qualche decina di euro, regolarmente denunciate sul 730. L'avevo intitolato "Pagare meno, pagare tutti: una modesta proposta per l'imposta di bollo": evidentemente era interessante.
Montatomi la testa, l'avevo addirittura spedito al ministero dell'economia di un governo litigioso: il sottosegretario mi aveva risposto che l'avrebbe passato ai suoi esperti. Ma il governo litigioso cadde e così anche la mia speranza di rendere un servigio al mio paese.
L'ho spedito di recente anche al nuovo governo (che non è litigioso e ha un solo capo bene individuato) inviandolo a un famoso ministro moralizzatore dei pubblici impiegati, sia al ministero sia al suo sito personale. Nessuna risposta, per ora.
Ora è il tempo della morale, l'educazione può attendere.

Passato molto tempo, ho scritto un altro pezzo e l'ho spedito alle riviste e all'Associazione degli Uff.A di cui sono socio. Stavolta il pezzo era un po' più controverso e aveva come titolo "Dai quesiti alle buone pratiche: una proposta per migliorare il lavoro degli Ufficiali di Anagrafe e il servizio loro reso dall'ANUSCA". La signorile e antica rivista me lo pubblica sul numero di questo mese di gennaio; dall'altra rivista e dalla mia associazione, niente (per l'educazione si rinvia a quanto detto sopra).

Ed ecco che - compreso che forse c'era stata una piccola censura - mi è spuntata l'insana idea di autopubblicarmi, naturalmente su Internet, senza credermi il Beppegrillo degli Uff.A.
Questo è il perché.

Resta da dire del titolo, anche se forse si è capito: "dal basso", perché è da lì, dallo sportello, dai rapporti quotidiani con l'utenza, che nascono queste riflessioni. Non troverete grandi questioni di diritto: ho un banale diploma di scuola media superiore, il diritto nel programma non c'era.

Se siete arrivati fin qui, grazie per l'attenzione. Tutti i vostri commenti saranno bene accolti.

P.S. Si possono lasciare anche sintetici giudizi sotto a ogni post.

Dai quesiti alle buone pratiche

Una proposta per migliorare il lavoro degli ufficiali d'anagrafe e il servizio loro reso dall'Anusca


Come si fa ad accertare una residenza? Posso dare indirizzi per telefono (“tutti gli altri comuni lo fanno”)? Dove va inviato un provvedimento di respingimento? Faccio bene a bloccare la certificazione agli irreperibili? Cosa devo scrivere sullo stato di famiglia originario? Come fare la numerazione civica? Devo mettere le relazioni di parentela sugli stati di famiglia? Che fare se dopo un anno lo straniero è ancora in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno? A chi vanno presentati i ricorsi anagrafici (sembrerebbe quasi mai al prefetto...)?

Queste alcune delle decine di domande che ogni giorno un ufficiale di anagrafe si pone e a cui deve rispondere bene e velocemente, dato che i suoi utenti – gli stessi utenti che sopportano ore di fila alla posta, mesi di ansia prima di sapere l'esito di un concorso, anni di attesa per ottenere giustizia, decenni per ottenere la verità sui grandi misteri nazionali – vogliono una risposta e la vogliono subito.

L'ufficiale di anagrafe amante del suo lavoro (degli altri taciamo) risponde come può, attingendo secondo scienza e coscienza alle sue risorse, che normalmente si esauriscono nell'elenco che segue:

  • si fa come si è sempre fatto;

  • si fa come faceva la collega più anziana ora in pensione (che non può più cambiare idea o ammettere di avere sbagliato);

  • si fa come si crede di capire che intenda dire un'oscura circolare ministeriale (*);

  • si fa come è più comodo e provoca meno conflitti col cittadino (“provoca meno conflitti” non è la precisa formulazione che l'ufficiale d'anagrafe userebbe...)

  • si fa come consigliano nei forum su Internet (dove però – dato che trattasi per l'appunto di forum – trovi anche la soluzione opposta...)

  • si fa come celermente e precisamente dice l'efficiente servizio ministeriale online “L'esperto risponde” (ipotesi del tutto accademica, qui riportata solo per amore di completezza);

  • si fa come dice l'Anusca e i suoi esperti.

E proprio questo ultimo punto vorrei approfondire.

Credo che il peraltro prezioso “servizio quesiti” dell'Anusca sia oramai insufficiente per rispondere ai problemi odierni e che il tempo sia venuto per elevare la qualità del servizio fornito agli ufficiali d'anagrafe, in una maniera perfettamente in linea con il carattere di associazione professionale dell'Anusca.
Quello a cui penso è un testo scritto – a stampa o consultabile online o in entrambe le versioni – che raccolga in maniera ordinata e analitica i suggerimenti che l'Anusca dà ai suoi associati per compiere bene e secondo la legge il delicato lavoro dell'ufficiale d'anagrafe, dando risposte alle domande che ponevo all'inizio (e alle molte altre che sorgono nel lavoro quotidiano) che abbiano il marchio e l'autorevolezza dell'Associazione.

In altre parole è venuto il tempo – secondo me – di mettere per iscritto quelle che chiamerei “Buone Pratiche del lavoro di ufficiale d'anagrafe” o “Raccomandazioni” o anche “Linee-guida Anusca per il lavoro dell'ufficiale d'anagrafe”.

Nella mia ipotesi il testo – che auspicherei agile e schematico, diviso in capitoli e sottocapitoli numerati, per favorire la ricerca ma anche l'aggiornamento dei soli argomenti interessati da eventuali evoluzioni normative – sarebbe la guida autorevole e precisa disponibile per tutti gli ufficiali d'anagrafe. Ciò anche perché il Ministero – in maniera secondo me gravemente colpevole – non si decide a farle lui le Linee guida per gli ufficiali d'anagrafe, lasciati in balia a sé stessi.

Un esempio per spiegarmi meglio. Ne scelgo uno che per importanza è centrale nel nostro lavoro: la residenza, il suo concetto e il modo di accertarla.
Ora l'ufficiale d'anagrafe è lasciato solo, e tutti gli esperti ministeriali o no se la cavano dicendo grossomodo che “in ultima istanza l'ufficiale d'anagrafe è l'unico responsabile nel formarsi il convincimento della attuale dimora abituale del soggetto” (cito a memoria, ma quante volte ho incontrato queste parole...) e magari ti ripetono pari pari il codice civile o famose sentenze della Cassazione.
Ebbene, nel testo delle “buone pratiche” (o raccomandazioni o linee-guida che dir si voglia) schematicamente vorrei trovare suggerimenti concreti su come definire se una persona è residente, su come accertare, come motivare eventuali dinieghi, suggerimenti dei comuni turistici (che possono però essere utili a tutti!), come “integrare” gli ormai obsoleti modelli di accertamento (caso macroscopico: l'accertamento della cancellazione), e così via. Il tutto in linguaggio asciutto, schematico, concreto, e con i necessari riferimenti a lato della norma/circolare coinvolta.

Non bisognerebbe aver paura di suggerire testi e modelli, che diventerebbero – nell'assenza colpevole del ministero di cui ho detto – praticamente “ufficiali”. Per esempio a me piacerebbe un “modello Anusca” di certificato di residenza, stato famiglia, eccetera, da imporre io alle software house (e non viceversa!).

Come arrivare a un testo così autorevole? E che fine farebbero gli esperti Anusca?
Io credo che con l'aiuto di Internet si può fare più o meno così: gli esperti Anusca potrebbero redigere la bozza del testo, che andrebbe sottoposta agli ufficiali d'anagrafe per osservazioni e suggerimenti, utilissimi soprattutto se si vuole marcare il carattere di “buone pratiche” del testo. Terminata la consultazione, il gruppo di lavoro di esperti licenzierebbe la versione definitiva che avrebbe il marchio dell'Associazione.

I colleghi in giro per l'Italia avrebbero quindi la loro “bibbia” professionale, con la libertà – ovviamente – di discostarsi dalle indicazioni Anusca dove ciò sembrasse loro necessario e possibile. Ma uno standard nazionale verrebbe così creato, a supporto dei giovani colleghi alle prime armi, ma anche di quelli più attempati ma carenti magari delle basi del diritto.
Revisioni parziali sarebbero sempre possibili, sia quando apparissero nuove norme o nuove circolari, sia quando gli esperti si accorgessero o venissero informati di nuove “buone pratiche” diffuse per il Paese. E rimarrebbero necessari, gli esperti, di fronte a casi precisi e particolari che a noi, ufficiali d'anagrafe in prima linea, continueranno – ne sono certo – a presentarsi al nostro sportello.

8 dicembre 2008


(*) Famosa è rimasta la circolare che alcuni anni orsono ci informò che in alcuni paesi arabi “ep.” o “ep.se” seguito dal cognome del marito, nei cognomi femminili significa “coniugata in” (accidenti, che sforzo!) senza spiegare se bisognasse considerarla parte del cognome o no, ovvero l'unica cosa che ci interessava. Ciò che ha reso necessaria una recentissima ulteriore circolare che graziosamente conclude di ometterlo...

Pagare meno, pagare tutti

Una modesta proposta per l'imposta di bollo

Pubblicato su "Lo Stato Civile Italiano", aprile 2007 - "I Servizi Demografici", aprile 2007 - "Semplice", maggio 2007

Sarà capitato a tutti i colleghi di avere discussioni con l'utenza per l'applicazione dell'imposta di bollo. Mi è capitato talvolta anche il caso contrario di registrare la meraviglia di chi – avendo diritto all'esenzione – “paga” un certificato o un'autentica con la misera somma di 26 centesimi, ritenendolo un costo decisamente ridicolo.

Una delle cause non secondarie della – diciamo così – “svogliatezza” degli uffici nell'applicare l'imposta è la constatazione che (dopo discussioni, arrabbiature e frasario tipico come: “Nel comune vicino a un mio parente l'hanno fatto in carta semplice”) alla fine lo Stato incassa 14,62 euro e al Comune invece – che ci mette l'impiegato, la carta, la stampa, il tempo e il lavoro che stanno dietro – vanno 52 centesimi! Le due cifre stanno in rapporto di 28 a 1.
Inutile dire che all'impiegato disposto ad accollarsi male parole non va un centesimo, come è ovvio.
Non parliamo della “giungla” delle esenzioni, in cui chi riesce a districarsi è bravo.
Risultato: l'imposta di bollo è una delle più difficili, rognose ed evase imposte che io conosca.

Per questo mi sono deciso a esporre questa proposta, che prevede in sintesi:
a) l'abolizione di ogni esenzione; l'abolizione dei diritti di segreteria;
b) la contemporanea riduzione dell'imposta a un importo accettabile per il servizio svolto in cambio (certificazioni, autenticazioni, legalizzazioni), che fisserei sui 4-5 euro;
c) il pagamento dell'imposta con nuove marche da bollo “per i servizi di competenza statale”, da acquistare anticipatamente da parte del Comune presso la prefettura (come si fa ora con le carte di identità) alla metà del valore nominale e la successiva applicazione diretta sul certificato, autentica ecc. da parte dell'ufficio, chiedendo all'utente l'intero valore. Il “ricavo” per Stato e per Comune, nella mia ipotesi, dovrebbero stare in rapporto 1:1.

Questo sistema avrebbe parecchie ricadute positive:

1) Non è un sistema complesso: come detto, è il sistema che tutti i Comuni usano per rifornirsi delle carte di identità (che, sia detto per inciso, presentano la situazione inversa dell'imposta di bollo, in quanto “costano” al comune poche decine di centesimi e vengono “rivendute” agli utenti a 5,42 euro, fatto questo che a differenza del bollo contribuisce forse al “successo” dell'operazione).

2) Finirebbe la giostra delle esenzioni sì, esenzioni no; dei casi dubbi con quesiti seguiti magari da oscure risoluzioni dell'Agenzia Entrate o esperti; delle richieste strampalate di studi legali, investigatori e società varie; delle discussioni col pubblico, coi colleghi più “di manica larga” o sui forum in Internet.

3) Il principio è semplice (deve esserlo se vuole essere un principio) e di immediata comprensione a tutti: vuoi un servizio? Lo paghi per quel che costa. Non lo vuoi? Ne fai a meno, oppure...

4) Oppure c'è l'autocertificazione. Mi sento di scommettere che di fronte al costo c erto di 4-5 euro, il numero di autocertificazioni, dichiarazioni sostitutive o autentiche di copie autocertificate salirebbe. Vi è oggi una enorme richiesta di certificati (specie dai privati!) che non è giustificata dalle ampie norme sull'autocertificazione.

5) Salirebbero anche le entrate per i Comuni; in ogni caso il sistema 1:1 è certamente più equo dell'attuale 28:1. Non la faccio lunga su federalismo fiscale, tagli della finanziaria, ecc.

6) Ritengo che salirebbero anche le entrate statali. L'argomento è noto e sfruttato anche dalla propaganda politica: più le tasse sono basse, meno si evadono. Certamente finirebbero le esenzioni “di fantasia” (e va rilevato che per gli innumerevoli casi di esenzione nulla va allo Stato). Riporto in nota, per chi vuole approfondire, i dati che ho ricavato da una lettura veloce del registro diritti del mio ufficio: in sintesi, più marche a minor costo significherebbe aumentare le
entrate rispetto all'attuale situazione di poche marche a costo elevato(*).

7) Triste doverlo dire, ma così va il mondo: saliremmo anche noi negletti impiegati demografici nella considerazione di amministratori e colleghi degli altri uffici. E' infatti sperimentalmente provato che stima e compensi stanno in ragione proporzionale diretta alle entrate procurate (dico solo questo: 300 euro lordi annui al massimo, e il minimo può anche essere zero).

dicembre 2006


(*) Nel mio comune di poco più di 5000 abitanti, nel 2006 sono stati rilasciati circa 50 certificati in bollo. Entrata per lo Stato: 14,62 euro per 50 = 730 euro; entrata per il comune: 0,52 euro per 50 = 26 euro.
I certificati non in bollo (il dato è depurato dei certificati esenti anche dai diritti di segreteria come sono quelli scambiati con altre amministrazioni pubbliche) sono stati circa 590. Entrata per lo Stato: zero; entrata per il comune: 590 per 0,26 euro di diritti = 153 euro.
Totale certificati: in bollo 50 + esenti 590 = 640. Totale entrate: allo Stato 730 euro (come già visto), al comune 179 euro.
Nella mia ipotesi, con marca a 4 euro e gli stessi numeri, le entrate sarebbero sia per lo Stato sia per il comune: 2 euro x 640 = 1280 euro ciascuno.
Va ovviamente tenuto conto che al variare delle condizioni, varierebbero anche questi numeri: in particolare ci sarebbe da aspettarsi una riduzione dei certificati per i motivi discussi sopra al numero 4 (autocertificazione).