9 gennaio 2010

Tra (alcuni) giornali e la cultura vi è la stessa differenza che passa tra Anagrafe e Stato Civile

Il sindaco di Treviso, Gian Paolo Gobbo

Oggi il tempo è pessimo sul Nordest: piogge torrenziali flagellano la regione e così ho un po' di tempo e mi siedo al computer.

Il quotidiano del Nordest, il Gazzettino, ha come prima notizia sparata sul sito web: "Proposta choc del sindaco Gobbo [Gobbo è il cognome, nota ad uso dei non-nordestini]: porno nonna ambasciatrice di Treviso". Nel resto d'Italia la notizia del giorno è il dramma delle violenze a Rosarno in Calabria, ma tant'è: evidentemente così il Gazzettino - di proprietà del gruppo romano Caltagirone - declina l'espressione "stampa locale"...

In questi giorni mi torna in mente un concetto che ho sentito di recente (non ricordo dove e da chi espresso): "La cultura è distinguere; ogni discorso culturale non può che essere rigorosa distinzione tra fatto e fatto, tra concetto e concetto". Insomma, quel che ho capito io è: la cultura è "de-finizione", il porre "con-fini", "de-limitare".

Ovvero l'esatto opposto del fare-di-ogni-erba-un-fascio, dei messaggi semplici su questioni complesse, dei discorsi-da-bar (che sia forse questo il legame che nelle mie sinapsi cerebrali è scattato con il Gazzettino?).

Pertanto oggi molto umilmente e con il linguaggio che qui dal basso noi usiamo, mi dedicherò a delimitare concetti che in questi mesi forse ho dato per scontati. Prima di tutto la parola anagrafe.

Nel linguaggio comune e nei titoli di giornali l'anagrafe è spesso l'ufficio comunale dove si va a registrare la nascita dei figli (non so se ricordate la polemica estiva sull'iscrizione in anagrafe dei neonati stranieri legata al pacchetto sicurezza...). Devo smentire categoricamente: l'anagrafe non si occupa di questo. E' ben vero che nei piccoli comuni qua in basso l'ufficio è uno solo, l'impiegato sempre quello e lo sportello pure. Ma non è così.

L'anagrafe si occupa semplicemente (semplicemente?) di dove abita la gente e con chi abita. Per questo rilascia certificati di residenza (il dove!) e di stato di famiglia (con chi!). Punto. Ma, come ho forse lasciato intendere qua e là ogni tanto, non sempre si vuol far sapere allo Stato dove si abita, e in compagnia di chi. O talvolta si vuol far credere di abitare in un posto mentre invece si sta in un altro.

La questione - in sè piuttosto futile - diventa d'importanza capitale se si riflette che a questo "abitare" sono legate le tasse.
Infatti da tempo immemorabile gli stati hanno organizzato i censimenti (una sorta di anagrafe "istantanea") prevalentemente per motivi fiscali. Ora non è più così, ma rimangono legate alla residenza particolari tipi di tasse e imposte, come ad esempio la tassa sui rifiuti che tiene conto del numero dei componenti abitanti in una casa, sottintendendo - non sempre a ragione - che più persone abitano in una famiglia, più rifiuti si producono e più questi debbano pagare per il servizio di raccolta.

Chi invece si occupa dei grandi eventi della vita è l'ufficio di stato civile, e non l'anagrafe. Per grandi eventi della vita intendo la nascita, la morte e il matrimonio (anche se non tutti i mariti e le mogli saranno d'accordo...).
Ai quali va aggiunto l'acquisto di cittadinanza, un evento che sta diventando sempre più frequente nelle nostre società e che può fare la differenza nella vita di una persona: chiedere per l'appunto agli immigrati di Rosarno.

Da quel che ho tentato di dire si deduce anche una cosa che è particolarmente difficile da comprendere per il cittadino medio: se anagrafe e stato civile sono due cose diverse (anche se ospitate nel medesimo ufficio e impersonate dallo stesso impiegato), vuol dire che hanno anche regole diverse.
Per esempio i certificati di anagrafe si pagano (cosa che scatena forti proteste degli utenti allo sportello quando è necessario pagare anche l'imposta di bollo). Mentre quelli di stato civile (nascita, morte, matrimonio) sono completamente gratuiti.

Cosa questa che - assicuro - non scatena un altrettanto forte stupore...

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